Il calcolo della paura non può sostituirsi alla riflessione, vuoi la melanconia di uno spazio. Mormorii, gorgoglii, fumogeni, rimbombi, soprassalti e sovrapposizioni varie non vinceranno mai nei confronti del malessere provocato dalla semplificazione del segno, dal vuoto mentale che si crea togliendo (e non aggiungendo a vanvera) gli elementi dall'inquadratura.

A metà strada tra un Son et Lumière sui castelli ed un CD ROM con le istruzioni "clicca sulla maniglia del portone", pareti semoventi e putti trasparenti minacciati dai mostri gelatinosi che da ALIEN in poi infestano l'immaginario anchilosato hollywoodiano. Anche se poi sono proprio ancora loro, questi giochetti in voga che riescono a fondere la carne e le ossa con l'animazione digitale, il solo interesse del film. In barba ad una metafisica lontana anni luce da questi cineasti della sperimentazione alla tastiera del PC, quando l'eroina finisce per assumere coraggiosamente i propri fantasmi stiamo tutti a guardare - e con noi gli attori visibilmente disinteressati ad altre problematiche - cosa diavolo sta inventando il burattinaio, cosa possa salvare la baracca; o, meglio, il baraccone.